False collaborazioni ancora in essere: Il fenomeno delle false partite Iva
Come ottenere un risarcimento da parte del committente.
Nella realtà economica quotidiana, è facile imbattersi nel fenomeno delle c.d. false partite iva. Si tratta di comportamenti dell’impresa finalizzati al risparmio dei contributi sul lavoro dipendente, oltre a tutta una serie di adempimenti obbligatori, attuati tramite la richiesta dell’apertura della partita iva da parte dei dipendenti oppure, sembrerà assurdo nel 2024 ma è ancora attuale, la “proroga” annuale dei contratti di collaborazione a progetto, i così detti co.co.pro., la cui validità è stata resa fuori legge dal d.lgs.81/2015, che ha fatto salvi solo i contratti in essere al 31 dicembre 2015.
L’assenza del requisito della data certa, ha reso possibile, per i committenti più disonesti, il “rinnovo” annuale del contratto, protraendo “progetti” che non giungono mai a termine.
Ciò premesso, è bene rammentare che nel diritto del lavoro, allo scopo della distinzione tra lavoro autonomo e dipendente, prevale in ogni caso la “modalità effettiva” con la quale si realizza la collaborazione, e non la “forma” che le parti hanno voluto concordare con delle clausole che rimangono solo sulla carta. Spesso, infatti, l’imprenditore fa siglare al dipendente accordi nei quali si ripete, in più di un’occasione, la volontà delle parti di concludere un patto non di lavoro dipendente, ma dove viene indicata l’autonomia del lavoratore; tuttavia, nelle vicissitudini quotidiane, tali accordi sono di ben altra natura e vengono accettati dal collaboratore solo perché descritti come unica possibilità per poter lavorare, ossia prestare la propria opera manuale o intellettuale, a beneficio dell’azienda datrice di lavoro.
Ai sensi dell’articolo 2094 del codice civile, “è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
Data tale definizione di legge, è facile capire se l’opera prestata nel caso specifico risulti di carattere autonomo oppure dipendente. Non ha rilevanza l’accordo firmato dal collaboratore, o il fatto che la remunerazione sia corrisposta tramite l’emissione della fattura e sia stabilito nel contratto stipulato che si tratta di una collaborazione di natura autonoma; inutile dire poi che le proroghe di contratti di collaborazione a progetto realizzati mediante la modifica della data del termine del progetto iniziale siano completamente illecite; capita a tale proposito di avere a che fare con convenzioni che vengono prorogate per anni, meramente tramite modifica della data di stipula e di termine (non “certe”, ma apposte secondo esigenze della ditta).
La fattispecie tipica di tali espedienti, anche se cessati da anni, può essere oggetto di contestazione entro il termine di prescrizione previsto in dieci anni a partire dal termine della prestazione.
Queste presunte “collaborazioni professionali”, realizzate o tramite “proroga” di contratti a progetto o per mezzo di partita iva, sono tipizzate, nei fatti, per essere:
A- Continuative e non episodiche, si protraggono senza soluzione di continuità e modalità, denotando così il perdurare dell’interesse continuativo del committente al ripetersi della prestazione lavorativa da parte del collaboratore, senza la predeterminazione di un arco temporale palesemente aggirato tramite la reiterazione annuale o pluriennale, puramente formale, di contratti stipulati;
B- Esclusivamente personali, con il mero impiego di strumenti e postazione di lavoro di proprietà del committente e all’interno della sua sede, messi solo a disposizione del collaboratore, in comprovata assenza, da parte di questo, di costi;
C- Etero dirette, con imposizione da parte del committente delle modalità esecutive della prestazione lavorativa, tanto da determinare l’evidente stabile inserimento e l’integrazione del collaboratore nell’organizzazione aziendale, risultando tale modus operandi spesso indispensabile per rendere la prestazione lavorativa richiesta;
D- Svolte in regime di mono committenza, avendo sempre e solo l’ente di riferimento o soggetti dello stesso gruppo come unici “clienti”, ai quale il collaboratore fattura importi fissi mensili predeterminati o rapportati alle ore di lavoro effettivamente prestate nel corso del mese;
E- Potere disciplinare del committente, che può irrogate sanzioni al collaboratore, a seguito dell’inosservanza del dovere di diligenza, di obbedienza e dell’obbligo di fedeltà;
F- Esecuzione delle prestazioni su “ordine” da parte di responsabili dall’ente committente, su iniziativa dei quali il collaboratore subisce il relativo potere disciplinare.
Questi tipi di collaborazione, anche nel caso in cui si realizzino anche solo in parte tramite quanto sopra indicato, non sono genuine, ma illecite, indipendentemente dalla firma apposta sul contratto stipulato.
Il “collaboratore” rischia, suo malgrado, di ritrovarsi in una situazione disagiata, causata da carichi di imposte e contributi non valutati a priori. Inoltre, essendo soggetto alla volontà del committente, si espone al rischio concreto di rimanere privo del lavoro, senza colpa e preavviso. Deve inoltre provvedere agli adempimenti imposti delle norme fiscali in tema di lavoro autonomo.
Il collaboratore ha diritto a richiedere la riqualificazione del rapporto di lavoro intercorso da autonomo a subordinato, con tutte le necessarie conseguenze che ne possono derivare; la vertenze, tramite legale, può essere soddisfacente in un breve arco di tempo e in modo stragiudiziale, senza necessità di adire l’autorità giudiziaria. Il collaboratore potrà tentare così di ottenere il risarcimento del danno subito per la evidente responsabilità del committente.